Una triste realtà figlia della pandemia
Tratto da L’ECO di San Gabriele
Speravo di non dovere mai più riprendere articoli sul Banco dei Pegni che, come tutti sanno, è sempre stata l’ultima spiaggia delle famiglie in grave difficoltà economica. Si chiede un prestito a fronte di una garanzia data in oggetti preziosi quali: oro, gioielli ed altre cose ancora ovviamente di un certo valore. Tutto è legato alle ricadute economiche e sociali figlie della pandemia che ha colpito tutti e che con le chiusure di molte attività ha prodotto aumento della disoccupazione, cassa integrazione e una forte caduta del potere di acquisto delle famiglie. L’impoverimento complessivo della nostra società ha fatto sì che anche redditi residuali e marginali, atti alla sopravvivenza di molte persone, venissero spazzati via e con ciò anche la possibilità di pagare non solo un affitto di casa ma anche una semplice bolletta di un qualsiasi servizio fondamentale quale acqua, luce, gas, eccetera. Ed ecco il perché, come raccontato dalle cronache quotidiane, della necessità di reperire fondi alla bisogna. Si rispolvera, quindi, per chi non ha redditi o risparmi la modalità di ricorrere a prestiti su pegno, antichissima forma di finanziamento che si perde nella notte dei secoli.
Ma come funziona il credito su pegno? È una forma di finanziamento che può essere concessa sia da istituti finanziari che dalle banche e generalmente sono prestiti di basso importo, come già detto garantiti da un bene dato in pegno. La procedura è rapida, senza troppi passaggi burocratici e può esser attuata anche per cittadini che sono già stati protestati e iscritti nei registri dei “cattivi pagatori”. Ciò è reso possibile poiché la garanzia della restituzione del prestito è nei fatti costituita dallo stesso pegno che si offre. Il valore del bene dato in garanzia viene stimato da un perito dell’istituto erogatore del prestito e sulla base di tale valutazione, viene concesso tale prestito, senza nessun’altra indagine patrimoniale. Si tratta di un’operazione che ha una procedura di istruttoria molto rapida. Naturalmente l’istituto rilascia contestualmente al cliente una polizza, che deve essere conservata nella maniera più assoluta, dove è indicata la data dell’eventuale riscatto che in genere è di 6 mesi rinnovabili. Inoltre vi sono annotati gli interessi da pagare (mi raccomando fatevi dare il Taeg, che è l’interesse reale che si paga, poiché contiene tutte le voci di costo che vi sono addebitate). Ma a queste procedure molto snelle, a cui si aggiunge la possibilità positiva di riottenere il bene impegnato, che a volte contiene ricordi assai belli, si allacciano elementi non proprio positivi per i richiedenti, che sono fondamentalmente legati a due questioni. La prima è la valutazione del valore del pegno che è sempre assai bassa; la seconda attiene agli interessi che si pagano sulla somma ricevuta e che deve essere restituita. Tali interessi si collocano su percentuali che possono arrivare sino al 15/16%.
Alla luce di tutto ciò, dunque, ci permettiamo di suggerire qualche consiglio. Innanzitutto non andate mai in un solo istituto finanziario, ma confrontate più proposte. Quindi conservate scrupolosamente la documentazione, serve sia per non essere raggirati, sia per un eventuale riscatto del bene impegnato. Inoltre, non mi stancherò mai di ripeterlo: simili operazioni non fatele fuori dai canali istituzionali, pena di cadere nelle mani pericolosissime dell’usura. Si sappia, inoltre, che allo scadere della polizza il cittadino può rientrare in possesso del bene restituendo la somma ricevuta in prestito, oppure se non riuscisse a riscattare il bene alla scadenza della polizza, la banca metterà all’asta l’oggetto (questo accade passati 30 giorni dalla scadenza della polizza). Se il bene viene venduto a un prezzo superiore alla somma dovuta alla banca la differenza, a norma di legge e regolamenti attuativi, viene versata o mantenuta per 5 anni all’ex proprietario. Un’eventualità, per la verità, molto ma molto remota.